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Amico Fragile. Fabrizio De Andrè  Aprile 2005   Torna alle categorie

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Fabrizio De Andrè Amico Fragile di Sergio Dalmasso

Sergio Dalmasso

Nell’ambito del convegno storico sugli anni ’60, sabato 9 aprile, alle 21, al palazzetto dello sport di Boves, si terrà un concerto del gruppo monregalese “DISAMISTADE” che interpreterà le canzoni del grande Fabrizio De Andrè. La storia di un decennio è segnata anche da canzoni e musiche che ci hanno accompagnato, che hanno segnato trasformazioni della società e del costume e che non a caso sono ricordate a distanza, oramai, di un quarantennio.

 

Amico fragile.

L’undici gennaio 1999 se ne va per sempre Fabrizio De André. Non ha ancora compiuto i 59 anni e solamente allora si comprende quale vuoto lasci nella canzone (alcuni dicono anche nella poesia) italiana.

Fabrizio nasce a Genova, quartiere di Pegli, il 18 febbraio 1940. Il padre, Giuseppe, ha da poco acquistato una scuola privata e sta con tenacia pagando i debiti. La madre, Luigia Amerio, è di Pocapaglia ed è figlia di viticultori. All’inizio del 1942, la madre, con i due figli (il primo, Mauro è del 1936), lascia la città e i quotidiani bombardamenti aerei. La meta è Revignano d’Asti, dove il padre ha acquistato un cascinale. Qui, in campagna, in mezzo ai pericoli della guerra, Fabrizio trascorre i suoi primi anni. Lo zio Francesco è internato in un lager tedesco e ritornerà a guerra finita, privo di volontà, incapace anche di parlare della tragica esperienza, vinto, prototipo di tante figure di sradicati e sconfitti che compariranno nelle canzoni del nipote.

Finita la guerra, il ritorno a Genova, nella nuova casa alla Foce (tre anni dopo vi arriverà, bambino, Luigi Tenco). La prima elementare, in una scuola privata, gestita da monache, mette in evidenza l’avversione alla disciplina che Fabrizio manifesterà per tutta la vita. Immediato il trasferimento ad un istituto pubblico (la scuola statale Diaz che diventerà tristemente famosa nel luglio 2001).

La vivacità e la fantasia sono grandi, scarso l’interesse per lo studio. Da qui il difficile rapporto con il fratello maggiore, sempre “primo della classe” ed il padre che alla carriera professionale (lasciata la scuola diventerà dirigente dell’Eridania) somma quella politica (assessore comunale e poi vicesindaco per il Partito repubblicano).

A quattordici anni, Fabrizio scopre la chitarra e a sedici entra in un piccolo gruppo jazz che vivrà tre anni, scoprendo oltre alla musica americana la grande canzone francese (il primo disco di Brassens gli è regalato dal padre e contiene Le gorille e La mauvaise reputation: No, alle persone per bene non piace che si segua una strada diversa dalla loro). L’anticonformismo personale e il contrasto con la famiglia, ormai dell’alta borghesia cittadina, lo portano alla scelta politica per l’anarchia che manterrà, anche se con contraddizioni, per tutta la vita. Legge Bakunin e Stirner, diventa intimo amico di Riccardo Mannerini, poeta anarchico ed ebreo (morirà suicida nel 1979) che lo influenza profondamente.

Nei primi anni ’60, durante l’università che mai terminerà, Fabrizio (il padre gli impedisce, per qualche tempo, di usare il cognome) incide i primi dischi. Del ’61 è La ballata del Michè, del ’63 Carlo Martello e l’autobiografica Il fannullone, scritte con l’amico Paolo Villaggio Senza pretesa di voler strafare io dormo al giorno quattordici orema non si sdegni la brava gente se nella vita non riesco a far niente. Seguono La canzone di Marinella, La guerra di Piero, Fila la lana, La città vecchia, con la successiva e fortunata Via del campo, la più legata alla Genova dell’angiporto, della piccola malavita, delle prostitute, ma anche di personaggi sfortunati e soli, di una umanità dolente e priva di speranza. Del ’66 sono La canzone dell’amore perduto e Amore che vieni, amore che vai.

Emergono l’anticonformismo, l’antimilitarismo, l’esaltazione dell’”amore profano”, i lazzi e lo scherzo presenti anche nella vita personale, il ribellismo e lo spirito antiborghese, con il desiderio di provocazione verso una società perbenista (per Carlo Martello viene processato dal bigottismo sempre in agguato). Gli ultimi dischi hanno un buon successo, ma più ancora ne ottiene Marinella nella versione (dicembre 1967) di Mina. Nel ’68 escono Tutti morimmo a stento e Senza orario senza bandiera, unica, ma interessante collaborazione con i New Trolls:

Nel ’70 esce La buona novella, una lettura dei Vangeli apocrifi alla ricerca di un Cristo umano, di un Dio non trascendente (presente anche in Si chiamava Gesù e in Preghiera in gennaio- scritta per la morte dell’amico Luigi Tenco-), del significato originario e umanamente rivoluzionario del cristianesimo, poi abbandonato e tradito. Ha grande successo, contemporaneamente, il singolo Il pescatore.

Il disco a tema continua l’anno successivo con Non al denaro, non all’amore né al cielo, tratto dall’ Antologia di Spoon river di Masters, testo di culto per gli intellettuali degli anni ’50. E’ una galleria di personaggi, vinti e non realizzati, è l’incontro (il primo) con un grande poeta un po’ tradotto e un po’ reinventato, l’abbandono non solo della Genova dei vicoli, ma anche dell’atteggiamento da poeta maledetto.

Cambia anche la musica anche se con alcune cadute successive. Inizia la collaborazione con parolieri e musicisti pur nella continuità del suo discorso.

Sta andando in fumo il matrimonio con Enrica “Puni” Rignon, figlia di una delle più ricche famiglie della città. Fabrizio è in crisi personale (l’alcol) e creativa. Nel ’74 esce un LP, Canzoni, con molte traduzioni da Cohen (Suzanne e Giovanna d’Arco), Dylan (Via della povertà), Brassens.

Il successivo Volume 8 è frutto della collaborazione con Francesco De Gregori, l’unico autore che abbia veramente influenzato De Andrè. Oltre alle modificazioni musicali, cambiano in De Andrè i testi che perdono sempre più il filo narrativo per assumere una dimensione metaforica. Nell’album, oltre a  Le storie di ieri (De Gregori), Una storia sbagliata e soprattutto Amico fragile: forse la canzone più importante che abbia mai scritto, sicuramente quella che più mi appartiene.

E del ’74 l’incontro con Dori Ghezzi che sarà sino alla morte la sua compagna e da cui nascerà la seconda figlia, Luvi (Cristiano ha già dodici anni). Nel ’76 il trasferimento in Sardegna, con l’acquisto di una grande proprietà all’Agnata (stalla, bosco, prati, giardini, orti, pascoli, diga). Allevamento di cavalli e mucche, agriturismo.

Nel ’78 esce Rimini, disco molto discusso e spesso criticato. Quindi la collaborazione con la Premiata Forneria Marconi, allora il maggior gruppo rock italiano. Dopo i concerti con i New Trolls è questa l’occasione per aggiornare il repertorio, per modificare gli arrangiamenti, per toccare un nuovo pubblico.

Dal 27 agosto al 22 dicembre 1979 il rapimento. Quattro mesi di tensione, di richieste di riscatto, di trattative segrete, di rancori del figlio verso il padre che viene accusato di non voler pagare. I luoghi diversi in cui i due rapiti saranno tenuti diventeranno l’Hotel Supramonte di uno dei brani più toccanti che compare nel successivo LP, coautore Massimo Bubola, centrato sugli indiani d’America, metafora del popolo sardo, colonizzato in tutta la propria storia. Accanto a Hotel supramonte, l’epica Fiume Sand Creek, il dolcissimo Canto del servo padrone che ricostruisce un rapporto positivo con la natura, come Verdi pascoli.

L’incontro con il chitarrista Mauro Pagani prelude al capolavoro Creuza de ma, in un dialetto ligure aulico, complesso, con sonorità mediterranee e l’impiego di strumenti inusuali, etnici e medioevali, (percussioni, mandole, viole a plettro, bouzouki, flauti). Se il pubblico, inizialmente, sembra indifferente o scettico, la critica comprende appieno il valore dell’esperimento di De André e Pagani. E’ la svolta definitiva. Scompaiono i valzer, le ballate, le tarantelle, tutta la produzione popolare. L’intreccio tra racconto e musica è totale. La ricerca musicale tende alla perfezione.

La vita gli riserva dolori: il primo, la morte del padre, previsto e atteso, il secondo, l’improvvisa scomparsa del fratello Mauro improvviso e drammatico.

Inizia la collaborazione con il genovese Ivano Fossati. In Questi posti davanti al mare cantano a turno Fossati, De André e De Gregori: Sin da Alessandria si sente il mare dietro una curva improvvisamente il mare.

Nell’ultimo decennio di vita, frutto di un lavoro accuratissimo e quasi maniacale,Fabrizio pubblica solo due dischi, Le nuvole (1990) e Anime salve (1996). Il primo, scritto con Mauro Pagani e parzialmente con Fossati e Massimo Bubola, sfonda nelle vendite: tre milioni di copie in poche settimane, accompagnate da un totale consenso critico. Due brani in genovese, un omaggio alla Sardegna, il lungo Le nuvole che dà il titolo all’album, la singolare Don Raffaé (Cutolo).

Occorrono sei anni per l’ultimo album, quasi un testamento spirituale. Il tema è quello degli emarginati: travestiti, zingari, disperati. Il collante è la loro solitudine. Due brani nel “suo” genovese, la prostituta di Princesa, gli zingari di Khorakhané, il richiamo alla faida sarda in Disamistade, il ritorno ai ricordi dell’infanzia in Ho visto Nina volare, la collaborazione con il poeta latinoamericano Alvaro Mutis in Smisurata preghiera che gli varrà riconoscimenti poetici.

I trionfi nei concerti a cui spesso partecipano anche i figli, grandi riconoscimenti critici. Fernanda Pivano parla di lui come del più grande poeta italiano contemporaneo.

Nell’estate 1998 l’ultimo tour. Il 24 agosto, ad Aosta, una crisi. La TAC non lascia speranze: tumore ai polmoni che si propaga velocemente. A Natale l’ultima crisi. Muore l’undici gennaio 1999, per coincidenza nel mese di Preghiera in gennaio dedicata a Tenco: Venite in Paradiso là dove vado anch’io, perché non c’è l’inferno nel mondo del buon Dio.

Forse solo allora si comprende la sua grandezza. Consola la speranza che se ne sia andato, come il suo Suonatore Jones, con ricordi tanti e nemmeno un rimpianto.

Aprile 2005